La Malattia di Parkinson deve il suo nome al medico inglese James Parkinson che la descrisse per la prima volta nel 1817, ma l’alterazione biochimica che ne causa i sintomi è stata individuata solo negli anni ’60.E’ una delle malattie neurologiche più diffuse. Nel mondo sono circa quattro milioni le persone colpite e secondo alcune statistiche, si presume che entro il 2030 il numero dei soggetti affetti sarà raddoppiato. Per sviluppare terapie sempre più efficaci, la ricerca è impegnata nell’individuazione delle cause scatenanti al momento ancora sconosciute. Il Dr. Claudio Lucetti, neurologo e dirigente medico presso L’U.O. di Neurologia dell’ospedale Versilia ce ne parla in termini… comprensibili. – Cos’è la Malattia di Parkinson? Si tratta di una malattia neurodegenerativa lenta e progressiva che interessa prevalentemente il sistema motorio con particolare compromissione dei movimenti automatici (quei movimenti originariamente volontari che per effetto di continue ripetizioni, perdono il controllo dell’attenzione e si automatizzano). -Come agisce sul cervello? Sappiamo che il nostro cervello è come una centralina che trasmette impulsi al resto del corpo permettendoci di muoverci, di formulare pensieri e via dicendo. Per sintetizzare, vi sono aree specifiche al suo interno, ognuna deputata all’assolvimento di specifiche funzioni. La malattia di Parkinson è dovuta alla degenerazione di particolari cellule nervose situate in una zona profonda del cervello chiamata sostanza nera. -Cosa accade a queste cellule quando vengono colpite dalla malattia? Queste cellule per trasmettere gli impulsi nervosi auto-producono e utilizzano una sostanza chimica (neurotrasmettitore) che serve a trasmettere il segnale ad altre zone del cervello deputate al movimento. Questa sostanza, detta dopamina, diventa sempre più scarsa nel momento in cui le cellule nervose si ammalano e iniziano a morire rendendo le connessioni che trasmettono gli impulsi nervosi sempre più deboli o assenti. Ciò provoca i disturbi del movimento tipici di questa patologia. -Quali sono i sintomi, nel dettaglio ? I principali sintomi, la cui presenza ci permette di porre la diagnosi, sono la rigidità muscolare del tronco e degli arti, il tremore e la lentezza dei movimenti (bradicinesia). Oltre ai sintomi motori descritti, ne sono presenti altri definiti “ non motori “ che possono manifestarsi in concomitanza con l’insorgenza della malattia o in un momento successivo. Questi sono: la depressione e l’ansia, i disturbi del sonno, la perdita dell’olfatto e i disturbi cognitivi (alterazione delle funzioni quali l’attenzione, la memoria, la capacita’ di progettazione e di orientamento, il linguaggio). Con la progressione di malattia e a seguito della terapia cronica con levodopa il quadro si complica per la comparsa di “fluttuazioni motorie” (riduzione del tempo di efficacia della singola dose di levodopa), movimenti involontari (discinesie) e blocchi motori talora imprevedibili (periodi “off”). – La diagnosi e’ prettamente clinica, ossia basata esclusivamente sull’ osservazione dei sintomi, o utilizzate anche qualche tipo d’ indagine strumentale? Questa rappresenta un’altra sfida per la ricerca, poichè ad oggi l’assenza di un marcatore di malattia rende la diagnosi di MP basata esclusivamente su criteri clinici ovvero sulla presenza dei classici sintomi motori (tremore, rigidità e bradicinesia). E’ auspicabile che la scoperta di marcatori di malattia permetta in futuro una diagnosi precoce. Attualmente, quindi, la diagnosi è possibile solo in presenza dei sintomi motori che compaiono quando la maggior parte delle cellule sono morte (“quando cioe’ i buoi sono già scappati”). -Qual’è la fascia d’età più colpita? L’età media d’insorgenza della M.P è intorno ai 65 anni, ma può manifestarsi , seppur raramente, anche più precocemente prima dei 40. -Quali sono le cause scatenanti della M.P. che vengono ipotizzate? Esistono numerose teorie sulle cause, ma nessuna è mai stata provata.Una delle ipotesi più accreditate è quella tossica, secondo la quale uno o più tossici ambientali possono essere responsabili dell’insorgenza della M.P. -Come si e’ giunti all’ipotesi che il fattore “tossico” potesse essere motivo scatenante della malattia? Un’importante prova a favore di tale ipotesi è stata l’identificazione della sostanza tossica MPTP (1-metil-4-fenil-1,2,3,6-tetraidropiriridina) quale causa di una patologia irreversibile simile al Parkinson; alla fine degli anni Settanta alcuni soggetti tossicodipendenti che si erano iniettati tale sostanza iniziarono a presentare sintomi come quelli della M.P. Attraverso ricerche di laboratorio successive si scopri che l’MPTP danneggia la sostanza nera e che la sua formula è simile a quella di molti erbicidi. Sulla scia di queste acquisizioni sono stati condotti studi sulla popolazione che sembrano indicare come l’esposizione a sostanze quali erbicidi o insetticidi, oppure l’avere svolto attività agricole o aver bevuto acqua di pozzo (un possibile collettore di pesticidi) e aver vissuto in zone rurali, possa aumentare il rischio di sviluppare la M.P. -Quali sono le altre ipotesi possibili? Esiste poi anche un’ipotesi virale che sarebbe supportata dalla presenza di una sindrome parkinsoniana secondaria a encefalite. Sintomi parkinsoniani infatti, erano presenti in molti pazienti precedentemente colpiti da encefalite letargica nel corso dell’epidemia degli anni che vanno dal 1915 al 1926. E’ pertanto ipotizzabile che se un agente infettivo provocava una malattia con sintomatologia parkinsoniana, allora probabilmente un’infezione era responsabile anche della M.P. -La ricerca ha fatto passi avanti nell’ individuazione dei fattori di rischio dello sviluppo della malattia? Una scoperta fondamentale degli ultimi anni è stata l’identificazione di forme di M.P. causate da mutazioni genetiche e trasmesse in maniera ereditaria dai genitori ai figli così come si trasmettono i geni per il colore dei capelli, degli occhi etc.. Le forme genetiche sono probabilmente in gioco solo in una minima parte dei casi. -Non siete quindi, ancora in grado di stabilire con certezza quali siano le cause che promuovono l’ insorgenza della malattia? Nella maggior parte dei casi le cause della M.P. restano sconosciute e probabilmente ci troviamo di fronte a complesse interazioni di fattori di tipo ambientale e di tipo genetico. -Quali cure si prescrivono ? Per il trattamento della malattia di Parkinson possono trovare impiego la levodopa che e’ certamente il farmaco piu’ efficace e i farmaci cosiddetti dopaminoagonisti (rotigotina, pramipexolo,ropinirolo). Il contributo di questi ultimi al miglioramento della terapia della MP, e’ stato sostanziale anche se va posta una certa attenzione ai possibili effetti collaterali a lungo termine, quali la sonnolenza/colpi di sonno e i disturbi compulsivi come ad esempio il gioco patologico e l’ iperattività sessuale. Altri farmaci trovano impiego nella terapia e sono utilizzati per contrastare le fluttuazioni motorie ( entacapone e tolcapone), i movimenti involontari ( amantadina), e per prolungare gli effetti della levodopa (rasagilina e selegilina). I farmaci fin qui descritti hanno lo scopo di minimizzare i sintomi, sopperendo ai deficit causati dalla malattia, ma esistono farmaci in grado di rallentarla? Allo stato dell’arte, non esistono prove certe di farmaci in grado di rallentare la progressione della malattia. Attualmente sono disponibili i dati dello studio ADAGIO nel quale veniva impiegata la rasagilina in pazienti con MP all’esordio. I risultati di tale studio suggeriscono che il farmaco “rasagilina” potrebbe cambiare il decorso della malattia; l’effetto è risultato modesto, ma sembra un primo passo significativo. Attualmente sono in corso altri studi con altre molecole che potrebbero avere effetto di tipo neuroprotettivo (il coenzima Q10, la creatina, la nicotina, alcuni farmaci antiipertensivi e antiinfiammatori). -Quali sono le speranze che derivano dalla ricerca? La ricerca è molto attiva e la lista dei nuovi farmaci è ricca. Promesse vengono anche dalle terapie genetiche e dalle cellule staminali sebbene lo sviluppo di tali approcci e la verifica dei risultati in questi ultimi casi sia più complessa e richieda maggior tempo. E’ necessario infatti essere certi, soprattutto nel caso delle cellule staminali, che queste una volta introdotte nel cervello lavorino bene; ad oggi questa certezza deve ancora essere provata scientificamente. -Riguardo ai farmaci in fase di sperimentazione quali novità possono apportare? Lo sviluppo di nuovi farmaci prevede sia un miglioramento di quelli già esistenti con nuove formulazioni della levodopa, sia la ricerca di nuove molecole che agiscono sulla via dopaminergica o su altre vie.Nuovi farmaci sintomatici, che hanno azione sui sintomi, e altri neuroprotettori che potrebbero avere effetto sulla progressione di malattia. – Da un punto di vista dietologico, vi sono cibi o bevande in grado di prevenirlo o di implementare gli effetti dei farmaci? I benefici apportati da una sana alimentazione non sono mai abbastanza. Studi hanno dimostrato che la dieta mediterranea riduce il rischio di sviluppare la MP e questo perchè è ricca di sostanze antiossidanti contenute soprattutto nella frutta e nella verdura. Negli ultimi anni si è posto l’accento in particolare sui flavonoidi che sono pigmenti contenuti nelle piante; particolarmente ricchi di tale sostanze sono i frutti di bosco e in genere la frutta colorata, senza dimenticare tuttavia gli altri antiossidanti contenuti negli olii, nella frutta secca e nelle verdure come i cavoli e gli spinaci. Per quanto riguarda le bevande particolarmente ricco di antiossidanti è il thè verde. Una menzione particolare per il caffè: l’assunzione di 2-3 tazzine di caffè al giorno sembra ridurre di circa il 20% il rischio di ammalarsi di Parkinson. Susanna Benassi Note biografiche Il Dr. Claudio Lucetti e’ nato il 19.07.1965 a Carrara (MS), si è laureato in Medicina e Chirurgia presso Università di Pisa nel 1993 e nel 1998 ha acquisito la specializzazione in Neurologia presso la medesima Università. Nel periodo successivo alla specializzazione ha lavorato presso la Clinica Neurologica di Pisa come assegnista di ricerca fino al 2002. Nel 2007 ha conseguito il dottorato di ricerca in “Esplorazione molecolare, metabolica e funzionale del sistema nervoso e degli organi di senso”. Dal 2004 lavora come dirigente medico presso l’U.O. di Neurologia dell’ospedale “Versilia”. E’ autore o co-autore di 50 pubblicazioni scientifiche indexate su medline. Nel corso degli anni ha partecipato come “investigator” a vari protocolli con farmaci sperimentali per il trattamento della Malattia di Parkinson e delle demenze. Per quanto concerne gli aspetti scientifici, nell’ultimo periodo, l’interesse si è rivolto soprattutto allo studio dei pazienti con Malattia di Parkinson con le innovative tecniche di neuroimmagine fornite dalla voxel-based morphometry e dalla risonanza magnetica funzionale. Questo è stato reso possibile grazie alla collaborazione con l’U.O. di radiologia dell’ospedale “Versilia” e con l’Università di Firenze e parte dei risultati emersi sono stati oggetto di relazioni a congressi sia italiani che internazionali