di SUSANNA BENASSI Ci sono persone, luoghi, eventi, di fronte ai quali l'associazione immediata e involontaria ad una visione, sensazione o ricordo e' inevitabile.Riccardo Bremer fa parte di questa particolare categoria. Osservando i suoi lavori, conversando con lui e con la sua bellissima moglie, nonché Musa ispiratrice, Maria Anna,l'immagine evocativa di un retro pensiero istintivo che nasce spontaneo è:" senza tempo". Nella sua casa sulle colline di Pietrasanta che ha le sembianze di un immenso studio d'artista, in cui ogni dettaglio e' intriso di passione estetica, ci si sente a proprio agio.Varcarne la soglia e' come entrare in un'altra dimensione, così lontana dalla banale quotidianità, dove il bello ci avvolge.I suoi quadri, appesi alle pareti ammiccano invitanti, a seguire un percorso evocativo di immagini che attraggono l'una verso l'altra. E' principalmente il ritratto il soggetto preferito da Bremer,ma non mancano scorci di paesaggi,nature morte e sculture.Il suo stile sicuramente realista nell'uso del colore e delle forme, ricorda la pittura di Vermeer, maniacale nel riportare fedelmente ogni più piccolo dettaglio, stupefacente nella resa delle trasparenze e nella composizione della luce.Le figure sembrano "uscire"dalle tele e trasformarsi in personaggi in carne ed ossa. E seppure l'evidenza stilistica sia improntata a riprodurre la realtà come si presenta, senza fronzoli o artefici, le opere di Bremer riescono a trasmettere intimità di sentimenti.L'apparenza e' una maschera che tutti indossiamo a celare la nostra più intima essenza, ma non sempre riesce nell'intento di contenere il vulcano di emozioni che si agita al suo interno,e di tanto in tanto cede mostrandone il contenuto.
E' impossibile intervistare Riccardo Bremer. Sprofondi in una della sue morbide poltrone con in testa una serie di domande e lentamente scivoli in una stimolante conversazione che spazia dall'arte, alla filosofia, alla letteratura, alla politica.A tempo scaduto ti rendi conto che il suo vero scopo era capire chi fossi… Ho superato l'esame? Risponde di si, ma riesco a strappargli solo qualche battuta veloce. Gli chiedo "E l'intervista?" risposta:" E' lei che deve esprimere la sua opinione su di me, io già mi conosco".
D: Cos'è l'arte?
R: L'arte e' "bellezza"
D:E,cos'è la bellezza?
R: La bellezza non ha bisogno di aggettivi… E ' un "assoluto soggettivo".
Bello, e' ciò che piace.
D:Quindi, la bellezza non esiste?!
R: Certo che esiste! Bisogna avere occhi per vederla. La bellezza deve essere coltivata. Serve allenamento,bisogna esercitarsi come su uno spartito di musica.
D: E come si coltiva la bellezza?
R: Attraverso quella che definisco "percezione del sublime". Non C' e' niente da inventare, tutto ciò che ci circonda contiene "bellezza", bisogna solo riuscire a vederlo.
D:Realtà e introspezione… Come si abbinano?
R: La fedeltà a ogni piccolo dettaglio è da far rientrare nell'ambito di una estrema velocità d'esecuzione e di una tecnica a pennello, sempre da me avvertita come un mezzo per eseguire compiutamente, ma con freschezza di sensazioni, quanto ho in animo di tirare fuori. Un modo ove il mio personale grado di approssimazione all'oggettività del dato reale sta sempre in pole position. Una precisione, tra l'altro, che non è poi così spinta e da cui non di rado prendo assai più che una semplice distanza. La necessità dell'introspezione – che non vedo disgiunta da quella legata al dato meramente estetico – mi richiede un distacco dall'oggetto onde far luogo alla mia propria visione di ciò che vado a rappresentare. La questione della realtà… la considero esclusivamente come una mia interpretazione del vero e, pertanto, la tratto per come a me si presenta.
D:L'arte astratta allora, con la sua propensione a costruire nuove forme, non possiede bellezza?
R: Ricreare,non e' "bellezza" e non e' "arte". Quando c'è bisogno dell'indicazione di una freccia dietro una tela, per essere in grado di appendere un quadro alla parete nel verso giusto, non si può parlare d'arte.
Non è la novità che di per sé conferisce la garanzia che qualcosa di valido per i tempi a venire sia stato fatto. I "moderni" ritengono un "must" il fare del "nuovo", dello "scioccante", dell'incomprensibile il loro verbo. Fare sensazione a tutti i costi senza rendersi troppo conto che così facendo rinunciano di fatto alla ricerca del proprio modo di "essere artisti" (sempre che lo siano). Sull'altra sponda si guardino gli iperrealisti. Per loro la copia – minuziosa all'inverosimile della realtà,è la ragione stessa della loro ricerca artistica. Non capiscono che proprio il conseguimento di un'attinenza parossistica al cosiddetto dato reale rende insignificante, se non addirittura pernicioso tutto il loro impegno?
D:Perché dipinge?
R: Per pura passione. Può sembrare una "frase fatta", ma nel mio caso e' proprio così, come dimostra la ritrosia che ho nel vendere le mie opere.
Pensando a medici e a sacerdoti si tende sempre ad associare la loro professionalità a una sorta di missione. Un'esclusività apparentemente concessa solo a quelle due categorie quasi che solo esse siano destinate a farsi carico (gratuito) dei mali e dei problemi dell'umanità. Gli artisti, paradossalmente, parrebbero essere esentati da un tale eccentrico "diritto". In effetti, se un medico cura gratuitamente è un benefattore, se un prete rischia la vita in giro per i più sperduti posti del quarto mondo è in odore di santità. Ma se un pittore non vende i casi non si sprecano: o è un estroso, o è un fallito. A me piace pensare di "lavorare" sia per passione che per missione e guardare all'eventuale guadagno non certo come alla meta del mio agire e l' attività di famiglia mi ha permesso di essere indipendente, economicamente, dalla mia arte.
Biografia:
Riccardo Bremer nasce a Carrara (MS) il 08.11.1947 da madre italiana e padre tedesco. Si diploma geometra ma si dedica da subito alla pittura e alla scultura. Già nel 1967, per esigenze familiari, inizia a lavorare nell'industria dei genitori: un impegno gravoso che gli consentirà però di superare i problemi legati all'incertezza così caratteristica del mondo dell'arte.
Poche sono le sue partecipazioni alle collettive e altrettanto scarse le personali che tiene, nel corso degli anni, in diversi ambiti: dal Castello Secentesco sul mare a Rapallo, alla Whalen Fine Arts nella 57th a Manhattan, al Palazzo Mediceo di Seravezza, al S. Agostino di Pietrasanta, a Olbia, Milano, Siegen etc.Per una propria impostazione si tiene accuratamente al di fuori dell'ufficialità del mondo della cosiddetta arte moderna.