di SUSANNA BENASSI Nell'ambito dei disturbi legati all'organo "cervello", spesso ci troviamo disorientati nel capire a quale tipo di medico ci dobbiamo rivolgere, o perché, per indagini più approfondite, lo specialista che ci ha visitati ci indirizza verso figure professionali che non ci sono familiari. La Psicologia ad esempio comprende una serie di specializzazioni distinte l'una dall'altra, a cui corrispondono specifiche figure di riferimento. Tra queste, quella del neuropsicologo che cercheremo qui,di delineare nel modo più semplice possibile.
Intervista alla Dr. Sabrina Danti ,Neuropsicologo che si occupa di riabilitazione e di training cognitivo informatizzato.
Chi è il neuropsicologo?
E' una figura di "confine", nata alla fine del '900 dall'incontro di due discipline, la Neurologia che studia il cervello da un punto di vista anatomico e patologico e la Psicologia che ne analizza le funzioni. Da questo dialogo collaborativo e' scaturita una nuova disciplina che fonde i due punti di vista in un unico approccio.Il neuropsicologo in pratica, si occupa di studiare e valutare le funzioni cognitive e comportamentali, riconducendole ai meccanismi anatomici e di funzionamento cerebrale.Quindi, il neuropsicologo e' una figura professionale che collabora in tandem con il neurologo?
Si, ad esempio nell'ambito delle demenze e della condizione nota come Mild Cognitive Impairment (MCI), ossia quello stato di flessione delle facoltà cognitive, più accentuato rispetto ad un normale invecchiamento dovuto all'età che potrebbe degenerare in demenza. In special modo il neuropsicologo ha competenze mirate e strumenti utili nelle problematiche relative alla terza e quarta età, in termini di declino cognitivo.
Per capire meglio…quando entra in scena il neuropsicologo?
In casi di sospetto “invecchiamento precoce”, il neurologo effettua la visita clinica, formula un’ipotesi diagnostica e prescrive oltre ad una serie di esami strumentali e non (Elettroencefalogramma, TAC o Risonanza all’encefalo, Scintigrafia Cerebrale, esami del sangue, etc.) anche una valutazione neuropsicologica. E' proprio qui che entra in scena la figura professionale del neuropsicologo.
La valutazione neuropsicologica quindi, è uno degli elementi necessari per porre una diagnosi di "invecchiamento precoce", ma se e quando, può fare la differenza nella individuazione di un disturbo incipiente?
In alcuni casi,come ad esempio nella condizione di MCI (che oggi sappiamo essere trasversale a tutti i quadri di invecchiamento precoce), in riferimento alla quale, spesso, i risultati di tutti gli esami medici danno esito negativo (compresa la visita neurologica), cioè non segnalano niente di anomalo, è proprio la valutazione neuropsicologica che fa la differenza, perché segnala un primo campanello di allarme.
In cosa consiste la valutazione neuropsicologica? La valutazione neuropsicologica è una sorta di “tagliando” (proprio come quello che viene effettuato all’automobile) che valuta come “funziona” il nostro cervello, in particolare il suo funzionamento cognitivo, in relazione all' età, al livello culturale etc..In sintesi,consiste in un colloquio con il paziente, talvolta affiancato da quello con un familiare, e nella somministrazione di test cognitivi.
Che durata può avere, in termini di tempo una seduta? E se l'esito e' positivo, con che cadenza deve essere ripetuto?
La prima visita può essere molto lunga (le linee guida suggeriscono un minimo di due ore). Se l'esito è positivo – cioè se segnala flessioni degne di attenzione clinica- è importante ripeterla con cadenza semestrale, per meglio comprendere l’evoluzione della condizione di rischio.
I risultati del test , in che tempi vengono comunicati?
Il referto è rilasciato qualche giorno dopo la valutazione – il tempo necessario per mettere insieme le informazioni raccolte in maniera accurata-. E' rilasciato al paziente od a un suo delegato, proprio come gli altri risultati degli esami medici. Il referto ed è lo strumento con il quale il neuropsicologo comunica con lo specialista.
Andando nello specifico… cosa sono i test cognitivi ? I test cognitivi hanno lo scopo, diciamo così, di "misurare" obiettivamente le nostre facoltà cognitive che a seconda del loro stato, otterranno un punteggio più o meno alto. Ogni test prevede rigide regole di somministrazione e soprattutto il confronto del punteggio ottenuto con norme validate su popolazione (esattamente come accade per gli esame del sangue ad esempio). I test neuropsicologici sono uno strumento prezioso di affiancamento alla sensibilità e all’esperienza clinica del neuropsicologo, perchè permettono di individuare univocamente una flessione cognitiva come patologica.
Esiste una qualche relazione tra questo tipo di test e quelli che misurano il QI?
I test che valutano il livello intellettivo (QI) misurano abilità cognitive che per definizione rimangono stabili nel tempo, dopo che è avvenuto il normale sviluppo intellettivo entro i 18-20 anni. Questo tipo di test non sono quindi utili per valutare il declino cognitivo previsto dall'avanzare dell'età anagrafica.
Esistono vari test per valutare il profilo cognitivo di una persona adulta?
Si. Una delle più importanti società italiane suggerisce ai colleghi del settore di portare nella propria “borsetta da viaggio” almeno 150 diversi strumenti. L’utilizzo di un test anziché un altro dipende da cosa vogliamo misurare e perchè. Ad esempio: esistono test in grado di misurare la “riserva cognitiva”, cioè la capacità di resistenza all’insulto provocato dal tempo sul nostro cervello. Esistono poi test che misurano facoltà cognitive sensibili all’avanzare dell’età cronologica, utili per vagliare l’ipotesi di demenza o di MCI. In sintesi: una valutazione accurata comprende sempre l’esplorazione di molteplici aspetti cognitivi.
Ci sono alcune funzioni cognitive più sensibili all’insulto del tempo?
Sì. E’ noto che la memoria (in particolare: il ricordo di avvenimenti recenti) sia vulnerabile in questo senso. Ma non solo. Ad oggi sappiamo che anche le cosiddette “funzioni esecutive” sono altrettanto vulnerabili.
Cosa sono le "funzioni esecutive"?
Le funzioni esecutive sono quelle funzioni cognitive che coordinano tutte le altre. Non solo: sono utili per pianificare un'azione, per valutarne il risultato, per inibire tutto ciò che non è necessario al raggiungimento di uno scopo, per trovare nuove soluzioni davanti a compiti complessi. Per meglio comprendere che cosa sono è spesso utilizzata la metafora del "direttore di orchestra" che dirige "tutte le altre funzioni cognitive" (l'attenzione, la memoria, il linguaggio etc.) che non a caso vengono dette "strumentali". La "sinfonia" vuole qui rappresentare la complessità della nostra esperienza.
Ci sono altri tipi di "funzioni cognitive" che e' importante testare? E' altrettanto importante vagliare anche le funzioni cognitive meno sensibili all’insulto del tempo. Spesso deficit cognitivi peculiari e insoliti, rilevabili solo attraverso una valutazione neuropsicologica meticolosa, suggeriscono al neurologo approfondimenti dedicati che permettono una diagnosi precoce di disturbi assai rari.
Quali sono le funzioni cognitive meno sensibili all'insulto del tempo?
Le gnosie percettive, cioè le capacità di riconoscimento di oggetti esterni tramite i cinque sensi (vista, udito, tatto…) sono solitamente ben conservate nell’anziano, e così pure le prassie, quelle abilità che permettono la corretta pianificazione ed esecuzione delle sequenze di movimenti (i così detti ‘engrammi motori’) nei vari distretti corporei.
Ci sono fattori di protezione?
Sì, esistono dei fattori di protezione o meglio di compensazione all’insulto del tempo. Avere avuto una buona preparazione scolastica, un ambiente socio-culturale stimolante, una vita ricca di hobbies ed un lavoro intellettualmente soddisfacente, sono fattori che permettono all’individuo di “resistere” meglio al declini cognitivo.
Che cosa è la riserva cognitiva?
Recentemente si è iniziato a parlare proprio in questo senso di “riserva cognitiva” come fattore di resistenza acquisito durante tutto l’arco della vita. Anche lo “stile metacognitivo” – la percezione che la persona ha delle proprie capacità cognitive, dei propri punti di forza e di debolezza- può essere considerato un fattore protettivo.
Ma il cervello adulto è ancora plasmabile dall’esperienza?
Si, e questo vale in una certa misura per tutte le età. Recentemente è stato dimostrato che, accanto a fenomeni di perdita neuronale, tipici dell’invecchiamento, nel cervello sono conservate capacità riparative e rigenerative, perciò si parla di “plasticità neuronale”. Questo meccanismo fa si che il nostro cervello possa essere modificato e modificabile dal prodotto della sua stessa attività. L’invecchiamento cerebrale non è, pertanto, un processo statico, ma è dinamico e influenzato da variabili complesse. La comprensione di questa complessità è una delle sfide delle Neuroscienze di questo secolo.
Note biografiche
La Dott.ssa Sabrina Danti e' nata nel 1977 a Pistoia e si e’ laureata in Psicologia presso l’Universita’ di Firenze nel 2003. Nel 2008 ha conseguito il titolo di Dottore in Ricerca nel settore Neuroscienze presso l’Universita’ di Pisa. Nel 2009 perfeziona la sua formazione in ambito giuridico con un Master in Psicologia Forense. Nel 2012 integra la sua esperienza formativa scientifica con un soggiorno all’esterno presso il BRAINlab sito all’Istituto di Neuroscienze e Farmacologia dell’Università di Copenhagen (Danimarca). Nel 2013 estende il suo iter formativo clinico con una Specializzazione in Psicoterapia riconosciuta dal M.I.U.R.. Nel quadriennio 2008-2012 lavora con continuità nel settore della ricerca della neuropsicologia sperimentale presso Universita’ di Pisa. Dal 2012 esercita a fini clinici come libera professionista nella valutazione neuropsicologica e riabilitazione cognitiva nel settore adulti.E’ autrice o co-autrice di alcune pubblicazioni scientifiche indicizzate su Medline. Attualmente fa parte del gruppo di lavoro che si occupa dell’adattamento italiano della Wechsler Memory Scale-IV edition. Collabora inoltre su base volontaria con le UU.OO. Neurologia e Radiologia dell'Ospedale Versilia (Lido di Camaiore, Lucca). Il suo maggiore interesse è nella diagnosi precoce del deterioramento cognitivo, nello studio dei correlati anatomo-funzionali delle funzioni cognitive e della loro modificazione su base patologica, e negli approcci non invasivi di neuroriabilitazione per le malattie neurodegenerative.