di SUSANNA BENASSI Venerdi 4 Novembre, si è tenuto, presso l’auditorium dell’Ospedale Versilia, il convegno medico: “Impiego terapeutico della Cannabis nelle malattie neurologiche” in cui sono intervenuti numerosi specialisti ( medici, neurologi , farmacologi, e non solo ) nell’intento di fornire un quadro attuale sui possibili usi medici dei principi attivi contenuti nella pianta di canapa.
Dal dibattito è emerso che la vera novità in termini scientifici è data dalla relativamente recente scoperta dell’esistenza nel nostro corpo del “ sistema endocannabinoide”, che rappresenterebbe un possibile “canale di accesso” alla cura di diverse patologie neurologiche e non solo.
Attualmente l’uso di cannabis si è dimostrato un efficace rimedio nella terapia del dolore cronico e della spasticità della sclerosi multipla.
La scienza, però, come si può dedurre dagli interventi che si sono succeduti nel corso del convegno, è ancora lontana dal dare delle risposte certe circa i benefici che potrebbero derivare dalla somministrazione di questa sostanza nelle altre patologie neurologiche, poichè, come è stato evidenziato, a tutt’oggi non esistono veri e propri studi condotti su larga scala, ne dati sufficienti che ne dimostrino un’efficacia reale. In effetti, le varie sperimentazioni fin qui compiute si basano sostanzialmente su studi definiti “survey” cioè le cui conclusioni derivano da impressioni riportate dai pazienti circa gli effetti prodotti dalla somministrazione di cannabis e non su evidenze cliniche concretamente misurabili attraverso dati incontrovertibili e standardizzabili.
Le problematiche sull’efficace uso della canapa in terapia medica sono diverse. Come citato infatti, il sistema endocannabinoide è di recente scoperta e quindi necessita di essere studiato più approfonditamente. Per far comprendere il suo funzionamento, diciamo che all’interno del nostro corpo esistono, da un lato, delle cellule che autoproducono cannabinoidi (sostanza chimicamente affine a quella contenuta nella pianta di canapa) e ,dall’altro, dei recettori cosiddetti CB1 che si trovano in molte aree del cervello, e CB2 concentrati nel sistema immunario) pronti ad accoglierla. L’incontro tra la sostanza autoprodotte e il recettore da luogo ad una attività modulatoria che ha lo scopo di mantenere l’equilibrio interno del nostro organismo.
L’altro problema da superare è la modalità di estrazione del giusto principio attivo contenuto nella pianta, nonché la sua misurazione in dosi efficaci. La cannabis infatti contiene al suo interno numerosi e diversi principi attivi non sempre presenti in quantità equilibriate in ogni pianta e non tutti utili e necessari a fini terapici. La somministrazione attraverso il fumo, o l’infuso, non consente quindi di stabilire con precisione quali e quanti di questi principi si diffondano nell’organismo, né di misurarne i benefici reali. Inoltre, il fatto che la sostanza per sua natura elargisca benessere psicofisico, induce il fruitore a sostenerne l’efficacia a prescindere da una sua reale attività sul sintomo per il quale è stata somministrata.
Si rende quindi necessario studiare e creare un farmaco contenente il principio utile nella quantità giusta, oltre che individuare la via di accesso ad esso più favorevole all’interno del sistema endocannabinoide.
La conclusione ,quindi, che possiamo trarre da questo interessante incontro, è che la scienza si trova di fronte ad una sfida ricca di insidie, ma certamente colma di speranze che ci auguriamo tutti, possa vincere in tempi brevi.