VERGOGNA, TREMENDA VERGOGNA!…DA DOVE NASCE QUESTO SENTIMENTO?

di Susanna BenassiIntervista al Dr. Luca Petrini Psicologo
Iniziamo con lo spiegare cos’e’ la vergogna…
La vergogna è un’emozione conseguente ad una sensazione di smascheramento; è come se il nostro sforzo per mostrarci accettabili, desiderabili, interessanti, degni di appartenere, crollasse improvvisamente. E’ un’esperienza a cavallo tra l’intrapsichico e l’interpersonale ed ha infatti, in questo senso, una collocazione fisica “calzante”: il volto. La parte del volto che arrossisce, la pelle, è la zona di contatto con l’altro da sè, con il mondo esterno, e rappresenta, in quel momento ed in quel contesto, la totalità del proprio essere. Il volto, specie nella nostra cultura, rappresenta l’esperienza della nostra intera persona. Affermazioni come “ci perdo la faccia”, “ci devo mettere la faccia” sono ben esplicative di questo vissuto condiviso.
Cosa succede dentro di noi quando ci vergognamo?
Avvertiamo un senso improvviso e sgradevole di essere stati scoperti, spogliati, smascherati, ed un conseguente desiderio di sparire, di sprofondare, di diventare invisibili. Mentre ci vergognamo ci sentiamo paralizzati, bloccati, pietrificati come se il solo fatto di muoversi mettesse ancora di più in luce la nostra “nudità”. La sensazione generale che ne deriva è una sorta di profondo turbamento, di disorientamento e di confusione mentale.
Ma perché proviamo vergogna?
Tutte le emozioni secondo la visione darwiniana, hanno un’utilità, sono li per aiutarci a sopravvivere. La paura ad esempio ci avverte di un pericolo e ci prepara alla fuga o a ricercare rassicurazioni. La vergogna in questo senso è l’emozione che ci permette di appartenere, un vissuto di importanza vitale per la nostra specie.
Spieghiamo meglio il concetto con un esempio…
Ad esempio anticamente, appartenere ad una comunità, era una questione di vita o di morte: chi veniva allontanato dalla comunità aveva infatti poche probabilità di sopravvivere. Ma ancora oggi, appartenere ad esempio ad un gruppo di adolescenti, ad una famiglia, ad una comunità, ad una classe sociale, è fondamentale per il benessere psichico. La vergogna ci permette questo, in quanto su di essa si fonda un’abilità relazionale che è “il senso del pudore”, cioè la capacità di mostrarsi in base a quanto riteniamo opportuno. Ecco che la vergogna (emozione) ed il senso del pudore (comportamento) costituiscono un sistema regolatore del campo relazionale un fattore di protezione che favorisce l’integrazione e l’appartenenza e che ci salvaguarda dall’isolamento e dall’emarginazione.
Ma allora l’emozione-vergogna e’ una specie di meccanismo censorio che limita la nostra spontaneità ?
Questo è vero se per spontaneità intendiamo “fare e dire quello che ci pare”. Io parlerei piuttosto di senso di naturalezza. A seconda delle situazioni che viviamo il contesto funge come da cornice e questa cornice, in modo assolutamente implicito, delinea i comportamenti che in quel contesto sono appropriati oppure no. Per esempio se sono ad una funzione religiosa non mi verrà da gridare come farei in uno stadio, ma questo non è repressione della spontaneità, è comportarmi in modo naturale rispetto al contesto-cornice.
Vergogna e timidezza sono sinonimi?
Non proprio. Intanto la vergogna è un’emozione mentre la timidezza è un tratto caratteriale. Inoltre la timidezza è un’esperienza più tenue, più morbida e che lascia libertà di movimento alla persona mentre la vergogna, con la sua dirompenza, paralizza. Certo hanno degli elementi in comune per cui potremmo definirle “vicine di casa”.
Il senso di vergogna non è uguale per tutti… Da cosa dipende questa differenza ?
L’esperienza della vergogna è diversa in ognuno di noi perchè ognuno di noi è diverso da un altro. Abbiamo la tendenza a credere che le parole siano qualcosa di vero, concreto e definitivo ma in psicologia ed in particolare nella visione fenomenologica non è esattamente così; qui le parole sono materiale inerte che diventa evocativo, vivo e dotato di senso solo nell’esperienza interna delle persone. Quando io ad esempio pronuncio la parola “vergogna” emetto un suono, una forma d’onda, che lei riceverà attraverso il suo sistema uditivo, il quale lo tradurrà in impulsi nervosi i quali a loro volta “accenderanno” in lei immagini, ricordi, sensazioni, esperienze, stati d’animo che saranno inevitabimente diversi dai miei e da quelli di chiunque altro. Quindi la vergogna che intendo io e quella che intende lei o chiunque altro non sono esattamente la stessa cosa anche se, in modo grossolano ed approssimativo, si assomigliano e quindi ci permettono più o meno di intenderci.
Esiste una connessione tra vergogna e senso di colpa ?
Spesso coesistono ma sono esperienze diverse. Mentre il senso di colpa, è un vissuto più collegato ad un “fare” o ad un “aver fatto”, la vergogna è strettamente connessa con il verbo “essere” nel senso che ha a che fare con quel che uno “è” (crede o teme di essere). Probabilmente i due vissuti spesso si confondono in quanto è confusa in noi la distinzione tra ciò che siamo e ciò che facciamo. Si tratta in realtà di due concetti assolutamente incommensurabili in quanto il primo, il fare, è ben definito o comunque definibile di volta in volta mentre il secondo, l’essere, è praticamente inafferrabile. Inoltre la vergogna richiede lo sguardo dell’altro mentre il senso di colpa è un’esperienza esclusivamente intrapsichica. E’ chiaro che qui a confondere le acque c’è il tema del giudizio ma questa è un’altra faccenda.
Alcune persone quando provano vergogna si ritirano dal mondo fino ad autoescludersi…se come dice alla base di questa emozione c’è la paura di essere esclusi dagli altri, per quale motivo si isolano volontariamente?
Molti disturbi, dalla fobia sociale ad alcune forme d’ansia al panico, sono correlati ad una difficoltà di gestione di questa emozione. La vergogna, come tutte le emozioni, per essere “nostra alleata” anzichè “nemica”, richiede di essere vissuta, di farne esperienza. Le persone che si ritirano dal mondo, i fobici sociali, non fanno esperienza della vergogna ma fanno esperienza dell’evitamento della vergogna. E’ possibile che nella loro storia ci siano state esperienze dove questa emozione è risultata insopportabile e terrificante. Così la evitano accuratamente, se ne tengono alla larga.
E questo atteggiamento può avere delle conseguenze serie sulla psiche di una persona?
E’ un meccanismo pericoloso in quanto più ci si allontana dall’esperienza temuta (con tutti gli spettri mentali che essa contiene) e più la paura di quell’esperienza aumenta. Anche se apparentemente ci sentiamo più al sicuro in quanto la allontaniamo, in realtà stiamo pian piano erodendo il nostro spazio vitale in una spirale viziosa.
Possiamo rendere meglio l’idea con un esempio?
E’ come aver paura di affogare in un lago. Più ci ritiriamo sul colle e lo guardiamo da lontano e più la nostra paura si cristallizzerà e man mano diventerà terrore. Se però, con l’aiuto di qualcuno pian piano ci avviciniamo e magari ci immergiamo ci potremmo anche accorgere delle svarite cose interessanti che possiamo fare in quel laghetto pur rimanendo consapevoli che un margine di pericolo e di fastidio rimane.
La psicoterapia che aiuto può dare in questi casi?
Un aspetto importante della psicoterapia è proprio questo: aiutare la persona a stare nell’esperienza e ad imparare ad utilizzarla in modo costruttivo e creativo.
Detto così sembrerebbe di facile soluzione…
Il problema è che alcune persone hanno una struttura interna fragile, gli psicanalisti la chiamerebbero “forza dell’Io deficitaria”. Provi a pensare ad un contenitore fragile. Se ci mette dentro del materiale troppo pesante non regge e si rompe o quantomeno si deforma. Ecco, la forza dell’Io è un po’ come la resistenza del contenitore e le emozioni sono il contenuto al suo interno. Da qui si capisce che il lavoro non è così semplice ed immediato.
Quindi…come opera la psicoterapia ?
In psicoterapia, almeno in alcuni approcci, si procede su due versanti: da un lato si lavora rinforzando il contenitore, dall’altro si permette progressivamente alla persona di far esperienza dei vissuti emozionali rendendoli man mano più sopportabili fino a farne dei veri e propri “alleati interni”, sui quali poggiare nuovi comportamenti più funzionali; con sorpresa la persona si accorgerà sia del sollievo che dei vantaggi che gli possono derivare nella vita pratica.
Ci vuole coraggio?
Certo. Affrontare una psicoterapia richiede coraggio; è un po’ come scegliere di affrontare i pericoli del mondo (pur debitamente attrezzati) rinunciando a vivere nella sicurezza, peraltro illusoria, di una prigione.
Note Biografiche
– Formazione triennale come Gestalt Counsellor, superamento esame finale, iscrizione all’Aico (Associazione Italiana Counsellor) della Regione Toscana.
– Perfezionamento all’ uso delle tecniche non verbali nella relazione terapeutica presso Istituto Italiano di Psicoterapia Relazionale di Siena.
– Formazione all’ approccio ecologico-sociale ai problemi alcolcorrelati e complessi secondo la metodologia Hudolin presso l’ASL 1 di Massa Carrara.
– Formazione sulla teoria del carattere in base al modello dell’Enneagramma
.- Laurea a pieni voti in psicologia clinica presso l’Università di Urbino “Carlo Bo”, con discussione sulla psicopatologia in Adolf Hitler e nel Nazismo. – Specializzando in Psicoterapia della Gestalt ad orientamento fenomenologico-esistenziale presso l’IGF Istituto Gestalt Firenze. – Formazione in Body-Psycotherapy. – Esperienza in pratiche di meditazione, rilassamento ed autoipnosi. – Esperienza pluriennale come educatore in comunità per la riabilitazione di persone con dipendenza da sostanze. – Esperienza pluriennale come educatore in comunità per la riabilitazione di persone con problematiche psicopatologiche complesse. – Conduzione di gruppi di sostegno per persone affette da disturbi psicotici. – Esperienza nell’ambito delle terapie a mediazione artistica (musica e teatro). – Presidente dell’associazione Laboratorio Gestalt – Lavora come libero professionista in Versilia in setting indivisuale e di gruppo

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