di SUSANNA BENASSI
Hieronymus Bosch, nome d'arte di Jeroen Anthoniszoon van Aken, ('s-Hertogenbosch, 2 ottobre 1453 – 's-Hertogenbosch, 9 agosto 1516),pittore olandese famoso per la raffigurazione inquietante, grottesca, enigmatica che ha ispirato i surrealisti. Un immaginario fantastico in cui la mostruosità è protagonista assoluta e simbolo della debolezza umana.
Visse nell'epoca del conflitto religioso che interessò l'Europa centro-settentrionale e i suoi dipinti hanno come tema centrale la lotta in cui si dibatte l'uomo diviso tra l'istinto che lo induce al "peccato" e le regole morali da lui coniate per resistergli. Le religioni sono lì a indicare la strada per la salvezza, ma la natura terrena dell'essere mortale, coacervo di pulsioni e bisogni primitivi, spinge verso il male e la dannazione eterna. In effetti, la critica non trova un'interpretazione condivisa dell'opera di Bosch; molti ritengono che i suoi lavori siano una sorta di ammonimento a non cedere alla tentazione, per altri si tratterebbe invece di una semplice denuncia dei vizi che affliggono l'umanità. Il simbolismo caricaturale, ironico, spesso dissacrante incita però a pensare che l'intenzione dell'artista non fosse diretta a una mera rappresentazione grafica di palesi concetti, quanto il frutto di un pensiero molto più profondo e articolato, un'intuizione sulla vera natura dell'essere mortale che nelle varie epoche poche argute menti hanno saputo cogliere e accettare come tale. In questo senso il Bosch-pensiero ha delle somiglianze con la filosofia pirandelliana che mette a nudo l'animo umano in ogni sua più recondita sfaccettatura. Pirandello parla di "vita" e di “orma“. La prima è l’"istinto vitale" in perenne movimento, il nostro vero "essere"; la seconda e' il "vestito" che indossiamo, la zavorra che non abbiamo il coraggio di abbandonare per pigrizia, per paura, perché il "caso" così ha deciso al posto nostro. Non possiamo prescindere da una forma che e' limititativa e depotenzia, corrode, spegne la nostra essenza vitale impedendoci di essere noi stessi. Ogni uomo racchiude dentro di se’ diversi aspetti che mutano anch' essi nel tempo,per contenere i quali non esiste "involucro" abbastanza capiente e versatile, quindi è costretto a operare una scelta: restare schiavo di se stesso e degli altri rassegnandosi a indossare la propria maschera, oppure, liberarsene e abbandonarsi alla follia: dire e fare tutto ciò che gli passa per la testa senza preoccuparsi del giudizio altrui. Bosch mette in scena il medesimo concetto. Lo fa attraverso le immagini raffigurando ironicamente come mostri i bisogni e le necessità istintuali dell'uomo che cozzano con quelle regole che lui stesso si e' imposto per riuscire a contenerli. L'essere umano si è civilizzato reprimendo la sua natura animale per mezzo di regole-divieto, ma disconoscendo se stesso nell'affannoso tentativo di ‘diversificarsi’ si è perso e condannato a una perenne sofferenza. Come il pirandelliano "forestiere della vita" osserva dall'esterno con l'occhio di chi sa e comprende, accetta e in un certo qual modo è amaramente divertito dall’ inconsapevolezza dei propri simili di fronte all'evidenza: esseri umani che si auto impongono restrizioni impossibili (con tanto di pena accessoria definitiva quale è la dannazione eterna) che non sono in grado di rispettare. Ecco quindi scaturire tele surreali popolate da figure grottesche, scenari apocalittici resi in forme così eccezionalmente moderne che si stenta a credere siano opera di un uomo vissuto cinque secoli fa. Inquietanti, ambigue, ma anche molto umoristiche riproduzioni del "reale". Forme che ci sono familiari, ma contestualmente incongruenti, che come tanti tasselli simbolici s'incastrano l'una con l'altra fino a formare vere e proprie "storie grafiche" narrate sotto forma di visione ritmica.
Qualunque sia l'interpretazione che se ne dia, l'opera di Bosch attrae, diverte, inquieta e induce a una profonda riflessione.
Nella foto "L'inferno Musicale" ( dettaglio del Trittico-Il Giardino delle Delizie -) conservato al Museo del Prado- Madrid