Si ricordi, quelli di Adria Ferrali, coreografa e ballerina della scuola Martha Graham la prestigiosa compagnia newyorkese tra le più importanti al mondo, in scena il 17 luglio nel teatro della Versiliana, con uno spettacolo intrinseco di significati ( la Genesi , il trinomio vita morte e fede, e la violenza in alcune delle sue espressioni più crude come quella domestica) dal titolo “Origini” – Il Settimo Sigillo. Nel suo curriculum tanta esperienza internazionale (dal 1989 al 1992 danza per la “Martha Graham Ensemble” e poi al fianco di Yuriko Kikuchi, Pearl Lang, Sophie Maslow, Peggy Lyman, Diane Grey, Carol Fried) e questa piece danzata in tre atti (tre quadri che mettono in scena la scelta di Adamo ed Eva, il sacrificio di Isacco e l’Apocalisse letta in chiave moderna dove un soldato scarica sulla giovane sposa le frustrazioni della sua esperienza) realizzata con la New Dance Drama e con il danzatore Thomas Johansen, Angelica Stella, e Giovanna Gamna, direttamente dai teatri americani. Tanti i suoi ricordi. Tanti gli aneddoti da raccontare e su cui si potrebbe fermare il tempo per scoprire com’erano i grandi ballerini prima della notorietà come Madonna, e mentre cavalcavano il loro mito. Una fortuna che capita a pochi. Come quando Madonna, oggi pop-rock star con all’attivo 280 milioni di dischi venduti, è stata prelevata da Chicago da Pearl Lang – coreografa di fama mondiale – e portata a New York, nella scuola della Graham, con due borse di studio. “Madonna – racconta la Ferrali – era una ballerina straordinaria, di una velocità impressionante. Era la punta della Pearl Lang Dance Theater, una delle maggiori compagnie, ma dopo un paio di anni decise di cambiare perché, ricordo, disse che la danza era troppo faticosa e poco remunerativa. Disse che avrebbe fatto la rock star, e così, a distanza di qualche anno, la ritrovai nelle classifiche mondiali con il primo singolo “Everybody. Lasciò la compagnia e l’America per Parigi e da lì spiccò il volo ma era davvero una ballerina fantastica”. Nel suo personale diario tiene anche un prezioso ricordo legato a Mikhail Baryshnikov tra i maggiori interpreti della storia di classica: “C’era timore di fronte Mikhail – racconta ancora – ma era di un umiltà invidiabile. Durante le prove obbligò l’orchestra a rallentare per permettergli di saltare più in alto e dare al pubblico l’illusione del volo. Lui e Nureyev si assomigliavano molto. Entrambi non portavano in scena il mito che erano già allora ma il personaggio che interpretavano. Non era il divo, non c’era l’etoile, era l’interpretazione che saliva in scena”.
Andrea Berti
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