Scrivo per Il Tirreno da più di 30 anni. Ero un ragazzino curioso e decisamente irrequieto quando ho cominciato. 35 mila articoli fa. O forse molti di più. È’ il mio giornale ed è una parte della mia vita.
In questi giorni la proprietà – Gruppo Gedi – sta trattando la vendita ad un altro gruppo di un Quotidiano che appartiene ad una comunità importante. Una comunità composta non solo da noi giornalisti, non solo dai poligrafici, ma anche dai lettori. Che sono poi l’anima delle nostre rotative mentali. Di questa trattativa, legittima, sia chiaro, sappiamo ben poco. Quasi niente. Ed è questo a non essere legittimo. A non essere normale. Non si vende un giornale, non si vende Il Tirreno senza minimamente informare di questo chi ci lavora, spiegare, rendere partecipi di quello che sarà, potrà o potrebbe essere. Ci sono stati degli scioperi. Il confronto è il dialogo devono ancora cominciare. Vedremo.
Il punto su cui vorrei soffermarmi è però un altro. Sempre in questi ultimi giorni ho ricevuto messaggi, ascoltato parole, incrociato sguardi, risposto a domande, che mi hanno fatto riflettere. Ed emozionare in alcuni casi. Una vicinanza ed una testimonianza di stima, di affetto, di solidarietà e di preoccupazione per il domani de Il Tirreno che forse è andata ben oltre le mie aspettative. Qualcosa che mi ha sorpreso. Che mi ha fatto bene. Che ci ha fatto bene. Conservo ogni frammento di questo abbraccio.
Un episodio su tanti: domenica 4 ottobre, di primo mattino, passeggio in piazza Duomo a Pietrasanta. Mi sento chiamare: a due passi da me un nostro anziano lettore. Uno con cui parlo quando capita di incontrarci, che mi telefona, che mi brontola, che mi fa gli auguri per le feste, che mi racconta del suo ieri e di quello che oggi gli manca. Non mi ha mai passato una notizia. Perché dice di non averne, quasi scusandosi. Qualche collega direbbe, “ perdita di tempo”. No. Quell’anziano lettore è la vita di ogni giorno. È l’essenza e la ragione del nostro lavoro. E poi io mi sono sempre rapportato in questo modo con le persone, molto per indole e un po’ perché uno dei miei primi redattori mi disse, “ ascolta sempre, non dare mai niente per scontato. Tutti sono importanti. Tutto, anche quello che mai si scrivera’, è importante”.
Questo nostro lettore, mi ha detto poche parole. “ Fino a quando non tornerete in edicola io non comprerò altri giornali. Il Tirreno-Telegrafo è’ in casa mia da 73 anni. Sono vecchio, Luca, ma se serve vengo a protestare anche a Livorno. Un po’ di voce mi è’ rimasta”.
Mi ha fatto traballare emotivamente, questo splendido signore. Ho sussurrato un grazie. “ No, grazie a voi”, ha risposto allontanandosi. Il rapporto con il lettore, si sa, non sempre è idilliaco: ci sono anche i contrasti, i ‘ bronci’, i saluti rarefatti ciclicamente. Ma è’ straordinariamente vero. Dio se è vero, sincero e diretto fra la comunità del Tirreno.
A chiosa vorrei dedicare poche righe ad uno sparutissimo ricettacolo di ipocriti che mentre ‘ festeggiano’ vilmente a bassa voce le problematiche del Tirreno sperando in una nostra chiusura – vi andrà male – e nel licenziamento di alcuni di noi – che anime tristi – , quando le incontri ostentano sguardi e parole di finta solidarietà. Sono gli stessi – pochissimi visto che stanno abbondantemente sulle dita di due mani – che da tempo boicottano in modo becero la tua cronaca – miseramente non riuscendoci – , vivono di rancori e ritorsioni patetiche e suggeriscono ai finti sodali di non comprare Il Tirreno solo perché fai il tuo lavoro. Ve lo chiedo per favore: è più dignitosa l’indifferenza che la vostra menzogna ridicola e strisciante.
A tutta la nostra comunità, invece, voglio dare un forte abbraccio. E dire grazie. Si, grazie.
E non sussurrato.
lucabasile