L’indagine sociologica, fin dalle sue origini, ha cercato di mettere a nudo i fenomeni della società umana: i rapporti che legano l’individuo ai gruppi sociali di cui fa parte, le dinamiche interne a questi gruppi, così come le loro relazioni reciproche. Un’indagine che, ovviamente, continua con profitto ancora oggi. Stando a questo punto di vista, il sopraggiungere delle festività natalizie rappresenta un’ottima occasione d’indagine, dal momento che queste ci permettono di relazionarci a persone con le quali, tendenzialmente, abbiamo un rapporto più “rarefatto” durante il corso dell’anno. Il periodo delle vacanze di Natale, infatti, rappresenta senza ombra di dubbio certe peculiarità: si rincontrano parenti o amici che vivono distanti da noi, magari in realtà piuttosto differenti dalla nostra, oppure si ha la possibilità di mettersi in viaggio verso mete più o meno esotiche, che ci permettono di entrare a contatto con popolazioni, abitudini e ritmi di vita più o meno distanti dai nostri. Ecco, allora, che ci è sembrato spontaneo riflettere, con una discreta dose di ironia, su come “gli altri” – coloro che non fanno parte della comunità podistica – possano vedere noi runners, indefessi cultori del gesto atletico della corsa di resistenza. Anche a Natale. Certamente. Ecco, quindi, come risulteremmo agli occhi di coloro i quali (beati loro?) non sono ancora avvezzi a quel variegato mondo in cui rientrano scarpe da running, manifestazioni podistiche, pettorali, medaglie, tabelle d’allenamento, sedute fisioterapiche, ritmi al chilometro e chi più ne ha, più ne metta.
L’allenamento natalizio —
Partiamo dall’allenamento natalizio. Immancabile. Come ogni anno. Anzi, programmato nel dettaglio già da mesi. Nell’ampio spettro della popolazione podistica, tra i casi più risolvibili, troviamo il “runner moderato”. Questo si limiterà a una spensierata e allegra seduta di fondo lento rigenerante con i soliti compagni di allenamento o gli amici podisti del quartiere. Niente di più. Certo non mancheranno i berretti rossi, in perfetto stile Santa Claus, il più delle volte di dubbio gusto però e sicuramente più che inflazionati in questo periodo. Brindisi per scambiarsi gli auguri a fine corsa e, anche per quest’anno, il nostro “runner moderato” potrà sedersi a tavola senza troppi sensi di colpa. Cartellino timbrato. Il suo lo ha fatto. Fin qua tutto bene, o quasi – sì, perché, diciamola tutta, un giorno di riposo, specie se a Natale, se lo potrebbero (o dovrebbero?) concedere tutti quanti. Sorvoliamo su storte di naso e alzate di spalle da parte dei partner (di ambo i sessi) non sportivi. I malumori domestici, serpeggianti, risultano ancora contenuti. Per ora.
Andando avanti nella fenomenologia del runner contemporaneo troviamo “il corridore evoluto”. Lui, ovviamente (manco a dirlo), non si accontenta della canonica corsetta di Natale con gli amici. No, lui si deve allenare. Lui deve rispettare certi ritmi. Quali? Quelli della tabella. Poco importa se è stata scaricata da internet da un blog podistico dove l’ultimo articolo risale a prima della pandemia oppure poco importa se (quando è l’allenatore a inviarla) a corredo di questa figura in grande (con tanto di spie tipografiche e sottolineature) la raccomandazione (più paterna che tecnica): “Se sei stanco riposa oppure corri più piano”. Niente da fare. Il “runner evoluto” nel corso degli anni ha maturato dentro di sé un mix di senso del dovere morale da far invidia alla legge morale kantiana assieme a uno spirito competitivo pari a quello di un giovane tuffatore cinese in lizza per entrare a far parte della squadra olimpica. Fatto sta che il runner evoluto non riesce più a correre per il piacere di correre (nemmeno a Natale). No, lui deve correre ai “suoi” ritmi. Eccolo uscire, quindi, la mattina di Natale da solo, con il proprio orologio GPS impostato sulla sua target zone ben precisa. Se rallenta, repentino arriva il “Beep beep beep” a intimargli di sollecitare l’andatura, così come se esagera l’avviso acustico gli rammenta di ridurre la velocità.
Se questo animale podistico vi potrà sembrare un esponente bizzarro della fauna dei runners, ancora non avete visto il più temibile (nonché insanabile): l’“Atleta”. Lui, non si limita a correre in solitaria… no, no; molto di più. L’“Atleta” il giorno di Natale decide di fare l’allenamento specifico, quello intenso per capirci (ripetute, fartlek, fondo medio e così via…). Sprezzante del fatto che impianti sportivi e piste di atletica di tutta Italia siano chiuse (per e con buona pace dei sensi di custodi e gestori), sprezzante del ghiaccio insidioso sulle strade e non curante della moltitudine di parenti che, arrivati dai più remoti angoli del globo, hanno invaso la casa come un campo profughi. Lui, imperterrito, continua a portare avanti il proprio programma di allenamento. Non più una sana abitudine, nemmeno una passione sportiva… La corsa ha sconfinato da tempo nell’ossessione patologica. Del resto, le gare incombono e la sfida col compagno di spogliatoio per vincere il premio di categoria (rigorosamente in natura) è dietro l’angolo. Il countdown verso la “Corsa delle patate” non si arresta. Eccolo, quindi, svegliarsi all’alba, come ogni mattina. Con la differenza che il giorno di Natale, gli tocca pure zigzagare tra i parenti che dormono in salotto. Intabarrato fin sopra i capelli, con tanto di passamontagna, più che pronto per un’uscita podistica sembra stia andando a svaligiare una banca. Il menù del giorno di Natale (che solo per lui significa l’allenamento previsto e non quello che si mangerà di lì a poche ore) riporta: 10 ripetute da 1000 metri. Recupero di 1 minuto e 30 secondi. Eccolo il nostro “Atleta” correre su e giù per il chilometro deputato per le prove ripetute. Scarpe con piastra in carbonio, pulsazioni a 180 bpm e nuvoletta di vapore ad ogni respiro, vista la temperatura esterna prossima o sotto lo zero. All’arrivo dell’ultima prova ci mette pure l’urlo, che nemmeno Djokovic alla finale di Wimbledon farebbe così acuto. Manca solo il Grinch, per sancire la morte dello spirito del Natale con questa immagine – diciamolo pure – donchisciottesca di quel che siamo, o potremmo essere, noi runners visti con gli occhi di chi, in fondo, “non ci capisce”.